Dieci anni della Comunità Pastorale

Era il 23 maggio del 2010 quando con una celebrazione solenne venne istituita la Comunità pastorale Madonna dell’Aiuto di Gorgonzola, mantenendo giuridicamente le due Parrocchie, ma riunendole in un’unica realtà.

L’avvenimento merita di essere ricordato in questa festa di Pentecoste, come segno della presenza e del passaggio dello Spirito Santo in mezzo a noi.Scriveva don Ambrogio Villa dieci anni fa: “Io vedo una città che nelle sue due parrocchie respira con due polmoni e batte con un cuore solo… Vedo che l’unità tra i cristiani può trovare nuova bellezza… Vedo un popolo con un’anima in questa città!”.

E proseguiva guardando al futuro: “Sogno una città in cui tutti sappiano tenere tra le mani il Libro della Bibbia… Sogno che ogni battezzato non subisca la Messa, ma la scopra e la sperimenti come bella e ricca di vita… Sogno che tutto si faccia cultura, cioè entri nella vita…”.

E l’allora vicario episcopale di zona, monsignor Delpini, attuale Arcivescovo, diceva: “La potenzialità di una nuova Comunità pastorale è quella della sua missionarietà: la missione deve diventare il criterio della nuova CP…”.

Nel progetto di costituzione della nuova Comunità pastorale c’era scritto: “Ci auguriamo di diventare sempre più una comunità che si sente tutta responsabile del Vangelo”.

Che ne è di questi dieci anni di vita?
Come è cambiato il modo di essere chiesa a partire dalla costituzione della Comunità pastorale?

Per chi è arrivato a esperienza in atto, non sfuggono le fatiche e le difficoltà di tanti a pensarsi come un unico corpo, soprattutto per le persone più adulte. I giovani, in questo, sono più avanti: per loro la Chiesa è “una” e non si sentono divisi né sminuiti.

Occorre ritornare al “sogno” profetico che l’ha generata, nella duplice prospettiva dell’unità e della missionarietà.
Un’unità che non è missionaria si trasforma in chiusura e ripiegamento su di sé.
Una missionarietà che non vive l’unità evangelica dell’amore trinitario, diventa propaganda e proselitismo che allontana.
Solo l’amore vissuto fa vivere la diversità non come divisione, ma come ricchezza.

Solo l’amore reciproco racconta la bellezza del Vangelo vissuto, profezia che il mondo attende e sogna.
Solo cosi saremo davvero Comunità (unità) pastorale (missionaria).
Come già scrivevamo domenica scorsa, “Abbiamo bisogno di riscoprire la bellezza delle relazioni all’interno della Comunità, di creare luoghi dove sia bello trovarsi“.

E vivere nel contempo relazioni all’esterno, con quelli che non frequentano la Chiesa.
Non cristiani “devoti” (in modo individualistico, intimistico, astratto, ideologico), ma credenti che credono in Dio per nutrire la propria vita e per riuscire a credere alla vita nella buona e nella cattiva sorte.

Non comunità chiuse, ripiegate su se stesse e sulla propria organizzazione, ma comunità aperte, umili, cariche di speranza; comunità che contagiano con la propria passione e fiducia.
Non una Chiesa che va in chiesa, ma una Chiesa che va a tutti. Carica di entusiasmo, passione, speranza, affetto”.

È in questa prospettiva che avvertiamo il bisogno di intraprendere strade nuove di evangelizzazione verso tutta la città, soprattutto le nuove zone periferiche che stanno sorgendo, in cui ciascun credente si senta impegnato in prima persona.

COMMENTS