Lutto per don Paolo

La mamma del nostro caro don Paolo è mancata la sera di mercoledì 28 luglio 2021 ed è tornata alla casa del Padre, accolta da tutti i suoi cari che già lì dimorano e da Maria Santissima.

Giovedì 29 luglio 2021, per chi volesse partecipare, per pregare per la sua anima, celebreremo un Santo Rosario nella Chiesa parrocchiale dei SS. Protaso e Gervaso alle ore 20:45.

Il funerale sarà celebrato venerdì 30 luglio alle ore 11.00 presso la chiesa di San Gregorio Barbarigo a Milano in via Bordighera, 46.
(A 100 metri dalla fermata MM Famagosta)


OMELIA

C’è qui tua madre, dissero un giorno a Gesù. E lui rispose: colui che fa la volontà del Padre è per me madre…

Mia mamma è ancora qui, dicevo a chi mi chiedeva come andava nei lunghi interminabili 26 giorni della sua agonia. Ma adesso mi accorgo che questa parola è più vera: adesso che è in Paradiso, nella risurrezione dei santi, è davvero qui, sempre. Come Maria. Perché lei, come Maria, ha vissuto in umiltà e silenzio, in nascondimento e bontà facendo la volontà del Padre con le mani più che con le parole.  Con le mani….

Di mia madre ho sempre guardato le mani. In principio le ho sentite attraverso la soavità delle sue carezze, che giungevano come un nutrimento. In seguito, ho ammirato tutto quello che con le sue mani faceva. Per esempio, la sua abilità nel confezionare i pullover, dopo aver sciolto la matassa, con i ferri che intrecciavano il filo di lana: le sue mani andavano tanto veloci che i bastoncini quasi non si vedevano. Realizzava un capo all’anno per ogni membro della famiglia.

Le mani della mamma!

Anche con due figli da tirare grandi, lei faceva il suo normale lavoro di contabile d’ufficio e a volte lo portava a casa con la sua macchina da scrivere e una pila di pratiche da smaltire. La mamma trovava tempo e modo per fare i conti, e quindi battere sui tasti, e io guardavo le sue dita scorrere così rapidamente da non capire quante erano diventate.

“Non incantarti. Dai retta a tua sorella”,

mi intimava. Correvo a infilare il succhiotto alla piccola, che rompeva con i suoi strilli, e tornavo per osservare lei che sembrava far parte della macchina. Un cespite necessario per integrare lo stipendio di papà.

Perdevo spesso i bottoni della giacca e della camicia:

“Ma te li mangi, ragazzo mio?”.

Nemmeno lo spazio della frase e il bottone era pronto per l’asola: un colpo alla cruna dell’ago e il filo roteava come un mulinello.

Ma c’è un modo in cui mamma non ha mai usato le mani: verso noi ragazzi. Non ci ha mai dato una sberla, né ci ha mai detto parolacce quando la facevamo arrabbiare. A scuola non ha mai preso le nostre difese davanti ai professori, né è mai andata a lamentarsi per qualche voto non corretto. Non ci sgridava, ma ci spronava a fare meglio e di più. Ci ha sempre lasciato liberi, ma ci è sempre rimasta accanto finchè io e mia sorella siamo restati in casa.

Quando ho annunciato che volevo entrare in seminario, papà stava seguendo la cottura del risotto. Mia madre, intanto, sbucciava le patate, svelta e precisa come al solito. Come lo dissi, papà si scottò, e lei, bruscamente interrotta, si ferì a un dito. Ricordo ancora il loro silenzio. Poi, la mamma, mentre si lavava il rivolo di sangue sotto il rubinetto:

“Ne sei sicuro?”.

“Sì”.

“E allora vai, e fatti prete”.

“Grazie, mamma”.

Così, dopo il liceo, la partenza per uscire di casa e non tornarvi più, se non per le consuete visite.

Figlio mio, non restare per forza in seminario, se hai solo un dubbio, scappa! Preti quagliati ce n’è abbastanza in circolazione”.

Il giorno dell’ordinazione eravamo tutti euforici. Avevo letizia e timori mescolati insieme. In particolare ero attratto da mia madre, l’osservavo come agilmente si muoveva tra i parenti, gli osanna e tutto il fausto campionario dell’occasione.

“Chi non odia suo padre e sua madre…”. Come è possibile, mi chiedevo, una cosa del genere, dinnanzi a creature così. L’ho capito più avanti: voleva dire amarli di più in maniera diversa, personalizzata. Me ne accorgevo ad ogni aprire di cassetto nella mia casa di scapolo consacrato: il nostro era un dialogo d’amore, fatto di biancheria, abiti, colazioni, cene, ascolti e presenze, in tutti i fine settimana, senza necessità di tante parole.

Mamma era una donna di fede semplice, ma non banale: aveva fatto solo fino alla terza commerciale, ma a quasi 70 anni ha iniziato a frequentare l’università popolare mariana e prima degli esami di teologia, mi faceva vedere come una piccola scolaretta le tesine che preparava perché gliele correggessi…

 Ha partecipato attivamente alla vita di questa sua parrocchia finchè la salute glielo ha consentito: impegnata nel movimento parrocchiale, ministro della comunione eucaristica, animatrice di un gruppo di ascolto della parola di vita, fedele a tutte le catechesi del suo parroco: sempre attiva nel nascondimento. E mai una parola di critica o di giudizio verso il parroco o i sacerdoti della sua comunità: mai una polemica o una parola fuori posto. Scusava tutto, sopportava tutto e tutti: non l’ho mai sentita parlare male di qualcuno.

Impegnata in Parrocchia, ma sempre con la famiglia al primo posto: noi figli e soprattutto papà, che seguiva in tutto.

Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna. È stato così per Gesù con Maria. È stato così per mamma e papà. E per questo io e mia sorella ringraziamo Dio. Parlerà poi lei, meglio di me, del loro amore e della testimonianza che ci hanno dato nel loro volersi bene, raccontandoci la tenerezza, la fedeltà e la cura di Dio, non solo attraverso le parole, ma tramite il loro amore. Erano sempre uno nel cuore dell’altra, anche quando non erano insieme. Papà aveva una grande stima dei suori giudizi e dei suoi pareri anche sui lavori teatrali.

E oggi il loro amore vince sulla morte e si ritrovano in un lungo eterno abbraccio. Ho trovato scritto su una cartolina di papà a mamma: “Un abbraccio ai ragazzi, a te il bacio più lungo”: adesso in Paradiso le può dare un bacio lungo quanto vuole!

Il loro era un amore traboccante, anche verso di noi…

 “Se hai bisogno di parlare, tuo padre e io siamo qui. Altrimenti siamo qui egualmente”.

Era il suo ritornello consueto. Quasi un programma osservato scrupolosamente. Poi si ammalò; fu ricoverata e operata.

Ed infine iniziò il lungo tempo della malattia di Alzheimer, nella quale era presente col suo corpo, ma non con la sua mente. Quando mi recavo a trovarla, assistita come angeli dalle badanti Valentina e Svetlana, e non riusciva a fare un discorso logico, prendeva la mia mano tra le sue, sottili e solide, e solo le mani parlavano.

Tra le prime parole che mamma mi ha insegnato da piccolo, c’è stata la preghiera dell’Ave Maria: è una preghiera che mi sembra di conoscere da sempre, non ho memoria di un tempo in cui non la conoscessi e non la recitassi: evidentemente erano le parole con cui mi faceva addormentare nella culla… Ave Maria…. Per questo guardando mia mamma non posso che guardare a Maria. E pregando Maria non posso non andare col pensiero a lei.

 L’altro giorno, standole accanto tra un sospiro e l’altro, tenendole la mano, le ho chiesto in maniera retorica, senza ovviamente aspettarmi risposta, se voleva recitare un po’ di rosario.

Si è voltata, mi ha guardato coi suoi occhi diventati sempre più azzurri col passare degli anni, e mi è sembrato di vederla trasalire di gioia.

“Maria è qui”, le ho detto posando accanto al suo cuscino le bozze del mio ultimo libro che le ho dedicato. E lei, dopo anni in cui non era più in grado di parlare in modo logico, ha incredibilmente recitato con me ad alta voce, senza sbagliare neppure una parola, tutta l’Ave Maria…

Sono state le ultime parole che su questa terra ci siamo detti. Le prime. Le ultime….

Ave Maria…

don Paolo

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