La Chiesa siamo noi

Ritorno sul tema degli abusi, dato che l’articolo del numero scorso ha suscitato molto dibattito, ed anche perché diversi articoli apparsi su alcuni giornali in questi giorni mettono in dubbio le cifre dello scandalo francese, tanto da far sospettare che siano vere le parole pronunciate nel film Spotlight dal direttore del Washington Post che a Boston aveva fatto scoppiare il caso: “Non mi interessa salvare qualche ragazzino, io voglio colpire la Chiesa cattolica!”. Anche Crozza, nel suo programma satirico di venerdì scorso, invitava la Chiesa a “chiudere bottega”, invece che a fare “di più e meglio per prevenire e punire”!

Non difendo i preti pedofili, né voglio minimizzare il fenomeno. Ma la Chiesa non deve essere accusata in maniera generalizzata, con toni aggressivi e ingiuriosi, attraverso informazioni scagliate nel mucchio.
Da diversi articoli e studi apparsi in questi giorni, sembra che il numero dei casi di abuso diffuso dai media (ed accolto in maniera acritica dalla stessa Chiesa francese), sia soltanto una “proiezione” e non corrisponda a nomi e fatti precisi e pertanto non può essere preso per verità indiscutibile: una “condanna preventiva della chiesa e del clero in regime di anonimato testimoniale” come ha affermato G. Ferrara. Senza distinguere tra casi di pedofilia (disordine sessuale compulsivo in cui un adulto abusa di bambini in età prepuberale), e casi di efebofilia (attrazione omosessuale verso ragazzi adolescenti), che è invece il fenomeno più diffuso (sempre esecrabile, ma comunque differente).

Questo senza minimizzare la vergogna (anche un solo scandalo è ignobile!) e il danno subito dalle vittime: verso di esse non si fa mai abbastanza per risarcirle e riparare, verso di loro si deve esercitare tutta la cura.
Il dolore e lo sdegno per i tradimenti del Vangelo e i delitti compiuti da preti e laici contro le persone più fragili non possono essere attenuati da nulla.
Se ci sono state nella prassi delle autorità cattoliche delle lacune e omissioni si deve punire, espiare e correre ai ripari. E cambiare a livello strutturale, come dicevamo nel numero precedente: le norme assunte a questo riguardo dalla Chiesa, che comunque hanno un rigore che non si riscontra in alcun ambito laico, probabilmente sono ancora insufficienti.

Anche un altro fattore però preoccupa: queste accuse stanno minando un aspetto decisivo della nostra fede, il rapporto tra il popolo e i pastori, cioè la dimensione ecclesiale della fede. Il rischio è che si cada in una religiosità intimista, stile new age, disincarnata e privata del suo contenuto storico. Una fede non più secondo l’insegnamento di Cristo, ma secondo la vecchia e già nota eresia gnostica, che tanto male ha fatto nella storia della chiesa (e dalla quale sono nati, ad esempio, i Vangeli apocrifi) e contro la quale è stato scritto lo stesso Vangelo di Giovanni. Su questa deriva credo occorra vigilare attentamente.
“Non si può camminare da soli, isolandosi, ma si cammina e si cresce in una comunità, in una famiglia. Nella Chiesa ognuno di noi trova quanto è necessario per credere: ascoltare la Parola di Dio, sicuri che è il messaggio che il Signore ci ha donato; incontrare il Signore nei Sacramenti che sono le finestre aperte attraverso le quali ci viene data la luce di Dio, dei ruscelli ai quali attingiamo la vita stessa di Dio; vivere la comunione, l’amore che viene da Dio” (Papa Francesco).

Ma se è vero che “ogni situazione è occasione”, allora potremmo cogliere anche due aspetti importanti su cui operare una conversione positiva.

Il primo sul versante del prete. Tutto ciò non può che costringere noi preti ad abbandonare ogni forma di potere e di clericalismo, per recuperare sempre più il fondamento vero della nostra scelta: Dio e solo Dio. Anche attraverso tutto ciò, forse, ci viene chiesto un ritorno all’essenziale. E probabilmente l’urgenza di ripensare il sacerdozio all’interno di una prospettiva comunitaria e non più individualista.
Il secondo sul versante della Chiesa. Ci è chiesta una nuova modalità di vivere il nostro essere chiesa, non attaccata alle “cose da fare” o alle “cerimonie da celebrare”, ma autenticamente evangelica, nel senso dell’essere “la famiglia di Cristo, il suo corpo vivo oggi”. Occorre cioè che recuperiamo uno stile di relazioni famigliari autentiche, di fraternità vissuta, di rapporti evangelici basati solo sul vangelo vissuto. Ci è chiesto cioè di tornare allo stile di vita della chiesa primitiva.
Più che chiederci come annunciare il vangelo nel mondo d’oggi, dovremmo chiederci tutti se siamo fedeli al Vangelo, se viviamo da cristiani coerenti e quindi credibili.
Se tutto il male di cui siamo attoniti spettatori in questi giorni condurrà a questi sussulti evangelici, allora non sarà passato invano ed ancora una volta la croce di Cristo porterà frutto. E potrà aprirsi verso l’alba di una nuova risurrezione.

don Paolo

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