Una proposta: un ministero della Pace

Faccio mia la proposta del professor Stefano Zamagni in un Convegno dedicato all’istituzione di un Ministero della Pace, organizzato dalla Associazione Papa Giovanni XXIII, dall’Azione Cattolica, con le Acli e enti della società civile

«Gli uomini hanno sempre organizzato la guerra; è ora di organizzare la pace» – era solito ripetere don Oreste Benzi.
«È ora di organizzare la pace», non semplicemente invocarla o urlarla contro qualcuno.

L’art. 52 della Carta Costituzionale recita: «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino», ma questo non implica affatto che la difesa debba essere esercitata con le armi: ci sono ben altri strumenti per difendere la Patria…. E il Ministero per la Pace svetta tra questi.

In una recente dichiarazione, l’arcivescovo emerito di Seattle Raymond Hunthausen ha affermato: «Le armi nucleari proteggono i privilegi e lo sfruttamento. Rinunciare a esse significherebbe abbandonare il nostro [dell’Occidente] potere economico sugli altri popoli. Pace e giustizia procedono assieme. Sulla strada che seguiamo attualmente, la nostra politica economica verso altri paesi ha bisogno delle armi atomiche. Abbandonare queste armi significherebbe abbandonare il nostro posto privilegiato in questo mondo».

Queste parole ci obbligano a riflettere su una cruda novità di questa epoca: la privatizzazione della guerra.
Quali i compiti specifici che un Ministero della Pace – che non escluderebbe, si badi, il Ministero della Difesa – sarebbe in grado di assolvere?

Ne indico solamente tre, per ragioni di spazio.

  1. Primo compito: portare al centro dell’indirizzo politico-governativo e del dibattito parlamentare la questione della pace in modo non episodico come oggi avviene, ma in modo organico e permanente.
    Non bastano, infatti, le politiche per la pace; sono necessarie soprattutto le politiche di pace.
    Inoltre, un Ministero della Pace – pur senza portafoglio – potrebbe coordinare le deleghe e i progetti oggi frazionati tra tanti ministeri in aree quali la cooperazione internazionale, il dialogo multilaterale, la promozione dei diritti umani. Solo così si potrà essere efficaci quando ci si siede ai tanti tavoli internazionali. Fare il bene è bene, ma volere fare il bene è meglio – quanto a dire che il bene va fatto bene!

  2. Secondo compito: diffondere ad ampie mani la cultura della pace e preparare progetti specifici di educazione alla pace.
    Per quale ragione in Italia si continua a insegnare e far studiare ai frequentanti di vari ordini di scuola testi che parlano in prevalenza di guerre e pochissimo di pace? Oggi sappiamo, perché ce lo confermano le neuroscienze, che un tale martellamento modifica in profondità le mappe cognitive dei giovani, riducendone le disposizioni ai comportamenti virtuosi. Vi sono nel nostro paese 40.321 scuole. Solamente in poco più di 700 si realizzano attività mirate a educare alla pace, grazie alla saggezza e alla generosità di insegnanti che hanno finalmente compreso che compito della scuola è, in primis, educare e in secundis istruire.

  3. Terzo compito per un Ministero della Pace sarebbe quello di fungere da supporto alla mediazione di pace e alla “diplomazia ibrida”, cioè all’azione sinergica tra istituzioni pubbliche e organizzazioni della società civile.
    È questa carenza di supporto a non consentire al nostro paese di valorizzare tutto il suo potenziale – che è tanto – per il peacebuilding.

La pace non è un obiettivo irraggiungibile, perché la guerra non è un dato di natura – come ancora una nutrita schiera di intellettuali ritiene vero, pur non avendo il coraggio di dichiararlo pubblicamente. Piuttosto, la guerra è un frutto marcio di tutti coloro che la vogliono, per specularci sopra.

Nel suo celebre saggio del 2000, Norberto Bobbio ha scritto che «qualche volta è accaduto che un granello di sabbia, sollevato dal vento, abbia fermato una macchina». È proprio così: un Ministero della Pace sarebbe, nelle presenti condizioni, un tale granello che il vento andrà a sollevare molto in alto.

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