Che senso ha la preghiera per chiedere la fine dell’epidemia?

Abbiamo chiesto al professor Mangiarotti, docente presso le scuole medie della nostra città, di aiutarci a rispondere a una domanda che molti ultimamente si stanno facendo:
Che senso ha la preghiera per chiedere la fine dell’epidemia?

Anzitutto mi sembra di poter dire che la nostra supplica, perché Dio intervenga in nostro favore e vinca l’epidemia che stiamo vivendo, sia autorizzata. Anzi, dovremmo dire che questa preghiera è pienamente umana, è Vangelo, buona notizia. Anche Gesù ha pregato insistentemente il Padre nell’angoscia.
Chiedere a Dio che il dolore e la morte siano vinte, pregare perché questo flagello finisca, non è altro che partecipare alla grande preghiera cristiana affinché venga il Regno di Dio, affinché Gesù finalmente torni, affinché la Pasqua si compia nella Parusia.

Anche nel Padre nostro Gesù ci insegna a pregare affinché venga il Regno di Dio Padre.
Il cammino di fede verso il Regno è continuamente sostenuto dalla preghiera: lo stesso Cristo ha connesso strettamente la venuta del Regno con la preghiera, poiché il Regno è evento impossibile all’uomo, è evento che solo Dio può compiere, ecco che la preghiera per il regno di Dio appare il modo principale di accoglierlo.

La preghiera cambia noi.
La preghiera è un incontro intimo nel quale entro nel cuore di Dio per imparare a vedere, giudicare, pensare come Dio. Non è mai una fuga dalla realtà, ma conduce la nostra a uno sguardo nuovo e ad una volontà di amore. Insegnandoci ad accogliere il Regno, ci porta a vedere il nostro tempo come il tempo favorevole, il tempo di grazia, ed a vedere chi vive con noi e chi ha bisogno come il nostro prossimo.
Dunque, il credente nella preghiera viene coinvolto da Dio nella sua opera e impara a guardare alla realtà con occhi nuovi e ad agire di conseguenza.

La forza della preghiera
È questa la forza della preghiera: generare l’orante che si apre totalmente al regno di Dio e alla sua azione.
Va però detto che, propriamente parlando, la forza della preghiera non raggiunge il suo scopo: chi prega pretendendo di spingersi al di là dell’amore del prossimo, al di là del servizio, per instaurare il regno di Dio direttamente, cade nella tentazione del diavolo.

Il frutto della preghiera
Il frutto della preghiera è l’amore servizievole attraverso il quale il Regno cresce, ma chi pretende di andare al di là dell’amore, per instaurare direttamente il Regno, pretende di andare al di là del Crocifisso che dona la vita per amore per vivere subito la comunione con il Risorto, è un visionario, è una persona che conta sulle proprie forze più che sulla comunione con il Signore Gesù.

È un incontro, un incontro salvifico.
Mi piace esprimere il senso della preghiera cristiana con il verbo greco menein, che significa appunto stare, dimorare. Quando Gesù chiede ai discepoli di pregare prima del suo arresto dice: Restate qui e vegliate con me (Mt 26,38). È un restare a casa di chi ci accoglie , è il legame forte che c’è tra il tralcio e la vite: (Gv 15,4)
In questo incontro il credente porta tutto se stesso, gioie e ferite, certezze e dubbi. La preghiera è luogo autentico, non posso non essere fino in fondo me stesso.

Ma, e questo è altrettanto importante, anche Dio nella preghiera rimane se stesso.
Dio non è il Dio lontano e disattento che va risvegliato e richiamato a furia di parole.
Egli rimane il Dio-con-noi, rimane il Dio della vita e della mia libertà, sa di cosa ho bisogno ancor prima che glielo chiedo, tuttavia non interviene al mio posto, ma solo con me. E con me soffre e muore.

La risposta di Dio.
Dio non interviene qui e ora per cambiare la situazione che stiamo vivendo, ma interviene qui e ora per cambiare il nostro cuore, il nostro modo di vivere la situazione presente. Dio non elimina la morte ma la vince. Dio prende sul serio il dramma umano e si lascia coinvolgere totalmente, si mette in gioco fino in fondo, si lascia contagiare dalla nostra debolezza, ingoia la morte, essa viene a far parte di lui e così viene vinta. Non è una lotta che Dio fa a distanza, sulla nostra pelle. Con l’uomo Dio entra sempre nella mischia.

In Gesù la morte entra a fare parte di Dio, che è la vita, e viene sconfitta.
Dio abita sino alla fine della storia il mio dolore e la mia morte così che, proprio lì, nel luogo più lontano da Dio, lì dove sarebbe impossibile incontrarlo, appunto nel momento estremo della mia solitudine, io possa fare esperienza di Lui, possa riconoscere la sua presenza, il suo abbraccio consolatore. La Pasqua di Gesù ci dice che non saremo mai più soli. Questo è il Vangelo! Dunque, Dio non toglie il dolore e la morte ma li vince abitandoli con me. In quel terribile momento non sarò solo, Lui abita la mia notte fino in fondo.

Professor Mauro Mangiarotti

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