Una Chiesa unita, libera, lieta

Da domenica 12 settembre 2021 sarà possibile acquistare fuori dalle chiese la proposta pastorale rivolta all’arcidiocesi ambrosiana per l’anno 2021-2022: “Lieta, libera, unita. La grazia e la responsabilità di essere Chiesa”.

Ne raccomandiamo caldamente la lettura a tutti!


 

Proviamo a pensare a come declinare concretamente le tre direttrici dell’essere Chiesa che l’Arcivescovo tratteggia nella nostra concreta situazione.

 

UNITA

«Una Chiesa unita nel cammino della sinodalità e di corresponsabilità».

L’unità è il desiderio di Gesù: “Padre che tutti siano uno, come noi lo siamo”, manifestato nei discorsi dell’Ultima Cena riportati nel capitoli 13-17 del Vangelo di Giovanni. Per realizzare questo abbiamo un modello di riferimento: la Santissima Trinità.

Gesù non ci chiede di meno quando ci invita a pregare il Padre perché si realizzi il “come in Cielo così in terra”, naturalmente coscienti della dovuta sproporzione fra il modello e noi.

Questo richiede un amore sempre più capace di perdersi l’uno nell’altro, come il Padre si perde nel Figlio e il Figlio nel Padre, per poter sperimentare che “l’amore vince tutto”.

Perché il fine dell’evangelizzazione è l’unità, che richiede da parte nostra la reciprocità dell’amore.

In fondo tutto è una scusa per arrivare qui. L’amore reciproco, premessa indispensabile di ogni nostro fare e di ogni nostro pregare, non è solo il contenuto della fede cristiana, ma è anche il metodo (sinodale, appunto) del nostro camminare e il suo fine. L’importante è che non sia solo un mezzo per far andare meglio le cose: sarebbe uno strumentalizzare il vangelo e la comunione trinitaria ad interessi parziali e non evangelici.

Ma cosa può significare per la nostra Comunità pastorale crescere nell’unità e nella diversità?

Come passare da una pastorale delle iniziative a una pastorale delle relazioni di amicizia?

Come vivere un cammino sempre più sinodale?

 

LIBERA

«Una Chiesa libera perché è nel mondo, ma non è del mondo, come Gesù raccomanda nei discorsi dell’Ultima Cena. Una Chiesa che accetta il rischio della vita, che si propone sapendo che la sua originalità può essere antipatica».

Dice Gesù che i suoi discepoli sono “nel mondo ma non del mondo”: per questo la relazione Chiesa-mondo va sempre ripensata, all’interno delle mutate condizioni socio culturali. Oggi, rispetto a qualche decennio fa, la presenza ecclesiale in tanti i campi (culturali, politici, etici…) è minoritaria; la laicità, così come sempre più spesso viene intesa (secondo il modello francese), rischia di cadere nel laicismo, escludendo la dimensione religiosa dalla sfera pubblica; la chiesa, per varie ragioni tra cui non ultima quella degli scandali, è antipatica a molti ed indifferente per altri; eccetera…

«I discepoli di Gesù sono contestati da coloro che chiamano intelligenza il conformismo, libertà il capriccio, benessere la sazietà, tranquillità l’asservimento».

In questo contesto occorre però ribadire che il cristianesimo non coincide con la “cristianità”: non si può identificare la nostra fede con un sistema culturale o sociale. Il cristiano propone, non impone; si presenta, testimonia, vive innanzitutto la sua fede, l’annuncia con la vita. Non dobbiamo conquistare, ma attrarre. Con quella libertà di chi sa che è la Grazia di Dio che è all’opera e che l’Opera è di Dio.

Occorre annunciare che “vale la pena” essere cristiani e vivere il vangelo in questo mondo! Che “vale la pena” vivere la fraternità universale in un mondo individualista. Che “vale la pena” amare e lasciarsi amare secondo la novità dell’amicizia vissuta da Gesù. Che “vale la pena” fare famiglia per tutta la vita, rispettare e prenderci cura gli uni degli altri. Che “vale la pena” celebrare insieme la festa settimanale della Pasqua ed ascoltare la Parola di vita del Vangelo. Con parresia, cioè con libertà e coraggio.

Com’è la situazione dell’evangelizzazione nella nostra città?

Come possiamo attrarre alla fede cristiana nel nostro mondo sempre più plurale e indifferente?

Come vivere sempre più una sinergia costruttiva (che non sia ingerenza o collateralismo) con l’Amministrazione Comunale che abbia come unico fine il bene delle persone della nostra città, in nome della fraternità universale?

 

LIETA

«Una Chiesa lieta, perché come una madre che partorisce, vive il travaglio, ma quando vede che nasce un uomo si rallegra».

L’Arcivescovo ha più volte manifestato il sogno, il desiderio di un mondo meno lamentoso: occorre eliminare il «lamento continuo» dall’agenda ecclesiale, sociale, politica. «Vorrei che una mattina tutti noi ci svegliassimo, scoprendo che dal vocabolario sono state abolite le parole del lamento».

Occorre una Chiesa gioiosa: non una gioia emozionale o individualista, ma la gioia comunitaria e condivisa, che nasce dalla festa della Pasqua di Gesù celebrata insieme. «Le celebrazioni tristi, grigie, noiose sono forse il segno di comunità tristi, grigie, noiose». La gioia non nasce dalle cose, dall’avere, ma dall’incontro fraterno, dall’amare e dall’essere amati.

La nostra comunità ecclesiale sa essere lieta e sinodale?  

Accetta di vivere nel mondo sapendo che può essere applaudita o ignorata, contrastata o addirittura schernita, senza perdere la gioia del vangelo?

Il nostro ritrovarsi, alla Messa come negli incontri che facciamo, è lieto, positivo, coinvolgente o è pesante, noioso, lamentoso? Siamo una comunità felice?

 

Su questi contenuti saremo chiamati a riflettere e a camminare insieme in questo anno pastorale che inizia ufficialmente in Duomo l’8 settembre 2021.

Su queste domande sarà impegnato il Consiglio pastorale, per discernere comunitariamente ciò che lo Spirito Santo chiede alla nostra Comunità, quali passi di rinnovamento e di novità, verso quali orizzonti muoverci insieme all’interno di un’esperienza di sinodalità…

 

don Paolo

 

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