La rivoluzione di Papa Francesco

È probabile che il pontificato di papa Francesco segni una vera svolta nella storia millenaria della Chiesa: ci sarà, cioè, un prima e un dopo di lui.

La svolta è determinata dalle idee, dalla visione di questo papato: non cambia la fede, ma cambia radicalmente il modo con cui – secondo il papa – la Chiesa deve, o dovrebbe, relazionarsi con il mondo.

Francesco propone l’idea di una Chiesa sorella del mondo (traduzione della parola “fraternità”, vero centro del suo pontificato), cioè la fa scendere dal suo millenario piedestallo, la mette non prima o sopra le altre istituzioni, ma al loro fianco, umilmente, senza – ecco il punto – pretese di superiorità. E lui per primo mette in pratica questo nuovo stile, come abbiamo potuto ammirare anche nell’intervista di Domenica scorsa su RAI3.

L’umanità di oggi s’interroga, ponendosi le domande di sempre: Perché vivo? Qual è il mio posto nel mondo? Cosa mi lega agli altri? Perché la morte, e cosa c’è “dopo”? Perché soffrono i bambini?

La Chiesa, nei secoli, ha sempre dato risposte a queste domande; risposte vere e preziose. Francesco, però, desidera che esse oggi non calino solo dall’alto. Lo Spirito parla al popolo di Dio, c’è un “sensus fidei fidelium” che va riscoperto e ascoltato. Per questo a interrogarsi dovrebbe essere l’intera comunità dei credenti, anzi – se possibile – l’intera umanità.

Interrogarsi significa discernere insieme la voce dello Spirito Santo; significa cercare, cercare insieme, in uno stile fraterno. I credenti hanno fiducia che sia lo Spirito a ispirare le domande e le risposte. Ma lo Spirito parla a tutti, non solo a qualcuno: riducendo il coro delle voci, riduciamo anche il numero degli strumenti che lo Spirito potrà suonare.

Ascoltiamoci, confrontiamoci – è l’invito del Papa. Perciò insiste tanto sulla sinodalità, nuova parola di oggi, nella Chiesa: le risposte vanno cercate insieme. È il significato del cammino sinodale intrapreso anche dalla nostra Comunità diocesana e decanale.

Questa impostazione è un modo rivoluzionario di pensare la Chiesa, in linea con l’ecclesiologia di comunione del Vaticano II e col concetto di “popolo di Dio”. “Comunione” che non va confusa con “democrazia”, ma deve costruirsi a immagine della Trinità, unica icona della Chiesa. Non più quindi un’immagine di Chiesa piramidale, con al vertice Papa e Vescovi e alla base i fedeli (immagine desunta dal modello monarchico antico), e neppure una Chiesa intesa come sintesi tra correnti e fazioni differenti alla stregua del modello moderno democratico. Ma una Chiesa che torni ad essere come Gesù l’ha voluta e pensata: icona della comunione trinitaria, tanto nello stile, quanto nel metodo.

La Chiesa, dal Concilio Vaticano II, ha iniziato un cambiamento radicale non solo al suo interno, ma anche nel rapporto col mondo contemporaneo: non di estraneità, ma di prossimità.

La sinodalità è quindi un contenuto (la vita trinitaria tra noi), uno stile (l’amore reciproco) e un metodo (il discernimento comunitario): è il radunarsi di un “popolo di Dio” nel quale siamo tutti fratelli e sorelle, accumunati dallo stesso Battesimo. Dentro questa condizione ci sono doni diversi, carismi e ministeri, che servono all’edificazione del corpo che è la chiesa. Anche il ministero dell’autorità non sta fuori o sopra il popolo di Dio, ma dentro la condizione comune e a servizio della vocazione di ciascuno.

C’è quindi una conversione da fare e che riguarda tutti: passare da una visione piramidale e di superiorità al mondo, a una visione fraterna, dove si cammina tutti insieme, gli uni non senza gli altri.

Tutti dobbiamo imparare a camminare di più insieme, ascoltandoci di più, sentendoci corresponsabili dell’annuncio del Vangelo, sapendo che le risposte da dare verranno, se verranno, non solo da qualcuno, ma dall’intera comunità in comunione col Vescovo e col Papa, secondo uno stile fraterno – uno stile sinodale.

dP

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