Quando l’arte evoca il mistero

I tre segni liturgici che sono stati recentemente posizionati nella Prepositurale, pur nella loro modernità bene si sposano con la sua tradizione bicentenaria, a testimonianza di una chiesa che vive nel tempo, dentro una tradizione che non è mera ripetizione del passato, ma sua incarnazione nel presente.

Ci aiutano a tradurre nell’oggi, in piena armonia con la storia, il cuore e il centro della nostra fede.

L’altare

C’è una frase che potrebbe riassumere la scultura del nuovo altare: “Come in cielo, così in terra”.
La parte superiore del marmo, il cielo, come una tovaglia sembra coprire la parte inferiore, la terra: l’incontro tra terra e cielo avviene nella croce.

Questa appare come una ferita che squarcia l’altare: è la piaga di Gesù abbandonato attraverso la quale Dio e l’uomo si incontrano in maniera definitiva.

È lo squarcio del velo del tempio: non esiste più nessuna separazione tra Dio e l’uomo: in Cristo crocifisso si rivela definitivamente chi è Dio e chi è l’uomo.

La mensa, luogo del memoriale del sacrificio eucaristico, rivela il senso della morte di croce: una vita donata, un pane spezzato, un sangue versato.

Celebrando l’Eucarestia entriamo dentro questo squarcio dell’Amore, partecipiamo al sacrificio di Cristo, ci viene svelato il suo volto e comprendiamo chi siamo: figli amati, fratelli e sorelle salvati. 

 

L’ambone
Il drappo che scende coprendo il luogo richiama il telo della resurrezione.
È il luogo dell’annuncio: Cristo è risorto. È la realizzazione dell’invito: “Va ad annunciare a tutti che egli è vivo!”.

La proclamazione della Parola ci svela il mistero della Pasqua: nelle scritture ci viene spiegato “ciò che si riferiva a Lui”. Da Mosè ai profeti è un continuo racconto di come Dio trae dalla fine gli inizi.

Nella Parola annunciata, che “scavalca” la barriera della balaustra, si rende presente in mezzo a noi, e dentro di noi, Cristo stesso.

 

La sede
Di fronte a questo annuncio ci siamo noi, rappresentati dalla sede con i drappi di un vestito, quasi richiamando le vesti di quel bambino, forse una nota autobiografica dello stesso evangelista Marco, che nella notte dell’arresto lasciò gli abiti in mano ai soldati e “andò via nudo”.

Ci sentiamo come i discepoli che fuggono, tradiscono, rinnegano con le loro opere e parole il mistero dell’amore. Noi, inadeguati eppure chiamati a renderlo visibile attraverso la nostra testimonianza e il nostro amore.

Ci sentiamo avvolti da un mistero più grande che si è preso cura di noi.
Ci siamo noi con la nostra fragilità: proprio per questo giunge la Parola: “Ti basta la mia Grazia”. Siamo cioè certi che l’amore di Dio è più grande e più forte dei nostri peccati.

 

Così ha scritto un parrocchiano:
“Grazie per la coraggiosa scelta dei nuovi arredi liturgici: dice che nonostante in giro “le chiese si svuotano” (come si dice spesso, anche se da noi non è così) voi avete il coraggio di prendervene cura in quanto segno della nostra fede, come avete cura di altri aspetti della fede di una comunità”.

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