La sfida educativa

Papa Francesco si è soffermato sulla crisi dei rapporti umani, quale espressione di una generale crisi antropologica: «Assistiamo a una sorta di “catastrofe educativa”. Vorrei ripeterlo: assistiamo a una sorta di “catastrofe educativa”, davanti alla quale non si può rimanere inerti, per il bene delle future generazioni e dell’intera società».

E ha lanciato la sfida educativa: «Oggi c’è bisogno di una rinnovata stagione di impegno educativo, che coinvolga tutte le componenti della società», poiché l’educazione è «il naturale antidoto alla cultura individualistica, che a volte degenera in vero e proprio culto dell’io e nel primato dell’indifferenza. Il nostro futuro non può essere la divisione, l’impoverimento delle facoltà di pensiero e d’immaginazione, di ascolto, di dialogo e di mutua comprensione».

Anche il nostro Arcivescovo, all’inizio di questa Quaresima, ha scritto: «Vorrei dare voce allo “strazio dell’impotenza”. Vorrei dare voce anche a tutti i genitori, gli educatori, gli insegnanti che percepiscono questo momento come una emergenza spirituale ed educativa e si rendono conto che non sono a portata di mano rimedi e soluzioni immediate. Vorrei dare voce a ragazzi e ragazze che sono sconvolti dall’isolamento, dai comportamenti incomprensibili e violenti fino alla morte di coetanei ai quali sono affezionati e si sentono in colpa per non aver capito, per non aver detto, per non aver fatto abbastanza».


  • L’attuale pandemia, con la chiusura di scuole e oratori, ci sta consegnando ragazzi soli e tristi. Nei casi estremi, si hanno comportamenti aggressivi e di autolesionismo: tagli e altri mali che i ragazzi si auto-infliggono.
    Infatti il forte stress indotto dalla pandemia porta a reagire in due modi: aumento dell’irritabilità, o al contrario con un forte ritiro sociale, manifestando più sintomi di tipo depressivo. Questo secondo gruppo di ragazzi, che si chiude in casa e che non vuole più uscire, perché ad esempio spaventato dalla possibilità di contagiarsi, oppure perché trova rinforzato un atteggiamento già preesistente di una certa difficoltà e disagio a incontrare i propri coetanei, probabilmente costituirà l’onda lunga una volta finita la pandemia.
  • E gli adulti non sanno cosa fare, cosa dire, cosa proporre, per donare speranza e senso, per educare.
  • Già era entrata in crisi l’idea stessa di educare, intesa nel senso di «dirigere» una persona più giovane a trovare la sua strada. Già avevamo sempre più giovani non educati, nel senso di «non diretti» da nessuno e in nessuna direzione. Giovani non in viaggio, ma al pascolo: non con la valigia che prendono treni, navi e aerei «diretti» da qualche parte, ma giovani che pascolavano in un prato, qualcuno brucava, qualcuno dormiva, qualcuno passeggiava in tondo.
  • Vi era già, prima di questa pandemia, una precisa volontà di non educare: non dirigere nessuno da nessuna parte. Più o meno velatamente pensavamo che educare-dirigere fosse un male.
  • Pensavamo che proporre il nostro personale modello, un sacco pieno delle nostre convinzioni, non fosse corretto: ritenevamo che fosse presuntuoso e illiberale, e che significasse limitare le scelte e reprimere la sconfinata libertà del ragazzo. Quale errore!
  • Pensavamo, sbagliando, che la libertà equivalesse a non porre limiti, che tutto fosse fluido e relativo confondendo verità con fanatismo, valori con fondamentalismo, identità con esclusione.
  • E così abbiamo passato ai ragazzi un sacco vuoto, che potessero riempire a piacimento, senza nessuna indicazione, commettendo l’errore di un’educazione formale, non sostanziale, passando metodi, non contenuti; dando competenze, non il senso del vivere; in cui l’unico principio era la soddisfazione del proprio “io” scambiato per “diritto individuale”. E si è demandato alla scuola il compito educativo.
  • Invece adesso ci accorgiamo che educare è comunicare se stessi, proporre sé come persone in modo totale, chiaro, leale, coraggioso. Educare è far crescere, tirare fuori il bene che c’è nell’altro, orientare verso una meta, offrire un senso.
  • Occorre ritornare alla certezza che ogni giovane ha un destino (una vocazione!), e che in fondo questa sia la ragione stessa per cui lo educhiamo. Quel senso e quella ragione di vivere che noi adulti, per primi, abbiamo incontrato. (O no?!). Allora educare, dirigere e destinare sono tre verbi che vogliono dire la stessa cosa, e ci riguardano tutti! Come famiglie dobbiamo tornare ad educare, ad aiutare ogni ragazzo a trovare la sua strada, la sua natura, sé, il suo ruolo, ciò per cui è destinato!
  • Solo così per il giovane la vita potrà tornare ad essere dotata di senso. Anche in piena pandemia.

don Paolo

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