Cosa non va bene secondo noi

Negli ultimi giorni sono cresciute le polemiche sul DDL ZAN, che hanno coinvolto in maniera pretestuosa anche la Chiesa.

Ci sembra giusto, visto che non tutti leggono Avvenire (l’unico giornale che riporta fedelmente il pensiero della Chiesa), presentare quali sono le nostre perplessità sul ddl, perplessità che non sono certamente discriminatorie verso le persone omosessuali: «A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione…», dice il Catechismo della Chiesa Cattolica al n° 2358. Infatti, nonostante quello che certi personaggi e giornali affermano, la chiesa non è omofoba!  

Proviamo a riassumere schematicamente quali sono, secondo noi, i principali punti critici.

  1. L’ordinamento italiano (e anche la legge Mancino, la numero 122 del 1993 che il ddl vuole modificare) già tutela ampiamente le persone soggette per qualunque motivo a manifestazioni di odio e violenza, tant’è vero che le aggressioni a persone omosessuali vengono sempre perseguite dalle forze dell’ordine al pari di tutte le forme di discriminazione, senza bisogno di un’aggravante specifica. 
  2. Il ddl introduce il concetto di “identità di genere” aggiungendolo nell’articolo 1 a quello di “sesso”: ma l’uno esclude l’altro, visto che il primo si basa su un’auto percezione soggettiva che può anche essere diversa dal dato di fatto biologico del secondo. Questa apertura indeterminata a ogni possibile identità diventa di fatto l’architrave dell’intera legge. 
  3. Molti ritengono che l’identità di genere tenda a «cancellare la differenza sessuale per accreditare una indistinzione dei generi» (come si legge anche nell’appello «di personalità dell’area di centro sinistra»), con «una confusione antropologica che preoccupa». E che diventerebbe «il luogo in cui si vuole che la realtà dei corpi, in particolare quella dei corpi femminili, venga fatta sparire», come lamentano le associazioni femministe. 
  4. La “identità di genere” nella sua indeterminatezza soggettiva non appare adatta a sostenere una legge che ha bisogno di certezze oggettive, e tantomeno una norma (l’articolo 604-bis del Codice penale) che prevede sanzioni a chi ne viola il dettato. 
  5. È più che dubbio che la ridefinizione di concetti fondanti relativi alla persona umana possa avvenire per legge. Ma quand’anche dovesse accadere, una legge simile dovrebbe esprimere un consenso vastissimo, e non essere ottenuta a colpi di maggioranza su una norma profondamente divisiva nel Parlamento e nel Paese come questa. 
  6. La Costituzione afferma all’articolo 3 la «pari dignità sociale» di tutti i cittadini «senza distinzione di sesso…»: un’espressione che non esclude nessuno, per definizione, e che non dovrebbe autorizzare l’identificazione per legge di un gruppo di cittadini distinti dagli altri per un criterio soggettivo come l’identità di genere. Creando delle “categorie” si rischia di discriminare maggiormente. 
  7. L’introduzione di «donne e disabili» tra le categorie sociali meritevoli di speciale tutela accanto alle persone omo e transessuali equipara in modo forzoso condizioni (e possibili discriminazioni) assai diverse, oltre ad apparire strumentale per allargare il consenso alla legge. 
  8. La «Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia» apre la porta delle scuole all’idea che l’identità di genere, e non il sesso, definisca una persona, un concetto che dal punto di vista educativo è più che discusso, di fatto escludendo la possibilità di affermare la tesi contraria, ritenuta potenzialmente discriminatoria. Senza contare che potrebbe essere ritenuto omofobico escludere dall’incontro con bambini e ragazzi, coppie gay che promuovono l’idea della genitorialità tramite maternità surrogata. E quali conseguenze penali avrebbero le scuole cattoliche che si rifiutassero di fare questo?! 
  9. L’articolo 4 fa salve «libera espressione di convincimenti od opinioni» e «condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte», ma con un limite ambiguo: «Purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». Una previsione alquanto vaga, affidata all’interpretazione di ogni giudice, che può indurre una compressione della libertà di pensiero e di educazione sotto la minaccia di “omofobia”. 
  10. A una legge di questa importanza antropologica bisognerebbe arrivare solo dopo un dibattito rispettoso delle differenze, capace di costruire un consenso unanime: le faziose forzature e le ambiguità presenti in questo ddl sono parecchie e sarebbe necessario il superamento di steccati ideologici per una convergenza più ampia.

(Articolo tratto da Avvenire, Francesco Ognibene)

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