Pregare per vivere

«Propongo di vivere nel prossimo anno pastorale – ma con lo scopo che diventi pratica costante – una particolare attenzione alla preghiera. Non intendo proporre una enciclopedia della preghiera, ma incoraggiare a verificare il modo di pregare delle nostre comunità. Ho l’impressione che sia una pratica troppo trascurata da molti, vissuta talora come inerzia e adempimento, più che come la necessità della vita cristiana. Cioè della vita vissuta in comunione con Gesù, irrinunciabile come l’aria per i polmoni».

Queste le parole con cui il nostro Arcivescovo di Milano, introduce la Proposta pastorale per l’anno 2022-2023.
Ma cosa vuol dire pregare?
La preghiera non è un soliloquio, durante il quale una persona si sfoga e dice una serie d cose a se stesso. Non è un insieme di formule ripetute, non è una “pratica” da svolgere, un precetto da assolvere.

La preghiera è un incontro, l’incontro con Do.
E come ogni incontro ha la forma del dialogo, cioè dell’ascolto e del raccontarsi.
È ascoltare Dio che parla nella Sua Parola e nella tradizione della Chiesa (anche attraverso delle formule, le preghiere), e rispondergli attraverso le nostre parole, il nostro mettere nelle sue mani la nostra vita.
Come ogni incontro è anche saper far silenzio davanti all’altro, è pensare a Dio amandolo: “io lo guardo e Lui mi guarda”. È adorazione e contemplazione.

La preghiera è portare Dio dentro le nostre lotte, dentro la nostra fatica di vivere, dentro le dinamiche che agitano il nostro cuore: è farlo entrare, fargli spazio, affinchè Lui stesso viva in noi e con noi la nostra esistenza. Bellissima, al riguardo, questa descrizione della preghiera fatta dal Manzoni nei Promessi Sposi: “Quando fu appiè della cappella, andò a inginocchiarsi sull’ultimo scalino; e lì fece a Dio una preghiera, o, per dir meglio, una confusione di parole arruffate, di frasi interrotte, d’esclamazioni, d’istanze, di lamenti, di promesse: uno di que’ discorsi che non si fanno agli uomini, perché non hanno abbastanza penetrazione per intenderli, né pazienza per ascoltarli; non son grandi abbastanza per sentirne compassione senza disprezzo.
S’alzò alquanto più rincorato…”.

Occorre fare in modo che la Chiesa sia sempre più luogo di preghiera, che suscita il senso del mistero di Dio.
Occorre rivedere le nostre liturgie, affinchè tornino a parlare, come un tempo, al cuore e alla vita delle persone. Scrive Papa Francesco al riguardo: “La liturgia non è un monumento di marmo o di bronzo, non è una cosa da museo. La liturgia è viva come una pianta, e va coltivata con cura. E inoltre la liturgia è gioiosa, con la gioia dello Spirito, non di una festa mondana, con la gioia dello Spirito. Per questo non si capisce, per esempio, una liturgia dal tono funebre, non va. Perché in liturgia ci sono tanti che si dicono “secondo la tradizione”, ma non è così: al massimo saranno tradizionalisti. Un altro diceva che la tradizione è la fede viva dei morti, il tradizionalismo è la fede morta di alcuni vivi. Uccidono quel contatto con le radici andando indietro. State attenti: oggi la tentazione è l’indietrismo travestito di tradizione”.

Occorre fare in modo che i nostri incontri siano intrisi di preghiera; dai gruppi del Vangelo alle riunioni delle varie realtà ed associazioni parrocchiali.
Occorre far in modo che nelle nostre famiglie si riprenda a pregare insieme, trovando forme e modi che favoriscano l’incontro col Signore e che aiutino a vivere i momenti della quotidianità alla Sua presenza.

Aiutiamoci tutti, quest’anno, per far sì che la preghiera sia davvero il polmone della nostra vita cristiana.

don Paolo

 

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